La follia
La follia di don Chisciotte è il tema principale dell’opera. È un nobile che perde il senno a causa della lettura di romanzi cavallereschi.
“In risoluzione, si era talmente assorto nella lettura che le sue notti trascorrevano leggendo di continuo, così come i suoi giorni; e così, per il poco sonno e la molta lettura, il suo cervello si inaridì in modo tale che arrivò a perdere il senno.”
La sua follia però è particolare, perché si limita a ciò che riguarda la cavalleria errante, che da tempo è scomparsa dal mondo, e che lui vuole far risorgere. Don Chisciotte adatta fantasiosamente la realtà circostante a ciò che ha letto nei suoi romanzi, per questo affronta i mulini a vento, credendoli giganti, o crede di vedere due eserciti che si affrontano nella polvere sollevata da due greggi di pecore. La sua visione si scontra con quella del suo scudiero, Sancio Panza. Questo dà al romanzo la possibilità di mostrare diverse prospettive sulla realtà in cui si muovono i personaggi, producendo in molte occasioni un effetto comico. Tuttavia, il trattamento del tema del folle non è puramente comico, come avveniva nella letteratura precedente, dove la follia era spesso legata alla stoltezza e alla bassezza. Don Chisciotte dimostra qualità nobili, e in altri aspetti della vita, che non riguardano il cavalierato, dà prova di sanità mentale e di grande comprensione.
Il cavaliere errante e i romanzi cavallereschi
Questo tema è presente in tutta l’opera. Don Chisciotte della Mancia si ispira ai romanzi cavallereschi, di cui fa la parodia. I protagonisti di questi romanzi erano cavalieri erranti, uomini coraggiosi, nobili e abili nell’uso delle armi. Inoltre, questi eroi dedicavano le loro imprese alla dama di cui erano innamorati. Tali romanzi erano molto popolari nella Spagna del XVI secolo. Amadigi di Gaula è l'esponente principale del genere. L’opera risale al XIII o XIV secolo e il suo autore è sconosciuto. Il protagonista è citato nel primo capitolo del Don Chisciotte, quando si narra che il nobile stava discutendo con il prete del suo viaggio, su chi fosse stato il miglior cavaliere. In quel capitolo viene citato anche Feliciano de Silva, l’autore preferito di don Chisciotte, che scrisse diverse continuazioni di Amadigi di Gaula tra il 1514 e il 1532. La fonte di ispirazione per i romanzi di cavalleria risale al XII secolo, con le avventure di Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda. Don Chisciotte lo ricorda nella sua conversazione con Vivaldo nel capitolo tredici: “per saperne di più e vedere che tipo di follia fosse la sua, Vivaldo gli chiese di nuovo che cosa intendesse per cavalieri erranti: «Non hai,» rispose don Chisciotte, «letto gli annali e le storie d'Inghilterra, dove sono trattate le famose gesta di Re Artù»”.
Nel Don Chisciotte si possono riconoscere molti dei motivi presenti nei romanzi cavallereschi, come l’investitura del cavaliere, la difesa dei bisognosi, gli incantesimi e la lotta contro i giganti. Inoltre, don Chisciotte sceglie il suo nome e quello del suo cavallo a imitazione dei personaggi dei romanzi cavallereschi, e concepisce il suo amore per Dulcinea ricreando l’ideale dell’amore cortese.
All’epoca di don Chisciotte, la cavalleria non esisteva più, se non come contenuto dei romanzi cavallereschi. La parodia consiste nell’includere il discorso dei romanzi cavallereschi in un nuovo discorso. Il cambiamento di contesto gli dà un nuovo significato, offrendo una visione critica e umoristica. Questo è ciò che accade con i motivi tipici dei romanzi cavallereschi nel Don Chisciotte. Il romanzo ne prende gli elementi e li parodizza per presentarli sotto una nuova luce. Nel contesto della Spagna del primo Seicento, le pretese cavalleresche del protagonista del romanzo appaiono antiquate e ridicole, e provocano quindi umorismo.
L'amore cortese
L’amore cortese è una forma idealizzata di rappresentazione dell’amore tra un cavaliere e una dama. Questa concezione ha origine nella poesia dei trovatori. Essi diedero vita, nel Medioevo, a un modo insolito di concepire l’amore, poi chiamato fin’amors, e noto anche come “amore cortese”, perché apparteneva strettamente alla sfera cortese. Questa forma di amore era concepibile solo tra uomini e donne appartenenti alla nobiltà.
Una delle caratteristiche principali dell’amore cortese è che il cavaliere innamorato deve soddisfare determinati requisiti, deve essere degno, onorevole, coraggioso e non avaro. La dama, invece, per natura, deve essere altezzosa, fredda, crudele e sprezzante nei suoi confronti. Il cavaliere prende il posto di un vassallo di fronte alla dama e deve affrontare diverse sfide per dimostrare i suoi meriti. In nome di lei, accetta le sfide che gli vengono proposte e le dedica ogni vittoria. L’amore cortese ha così creato nuovi codici per rappresentare la relazione amorosa, codici impensabili nell’antichità classica. Don Chisciotte segue rigorosamente questi codici per rappresentare la sua dama, Dulcinea, e la relazione d’amore che immagina con lei. A lei dedica le sue vittorie e in suo nome vuole affrontare sempre i pericoli che gli si presentano.
L'inganno dei sensi
Don Chisciotte vede la realtà distorta perché la sua immaginazione è impregnata di elementi della letteratura cavalleresca: la locanda che diventa un castello agli occhi del cavaliere, la lotta contro i mulini a vento, la carica contro il gregge di pecore, o l’elmo di Mambrino, che crede di possedere, sono esempi di come la letteratura abbia influenzato la sua percezione della realtà.
L’hidalgo riconosce che la realtà può talvolta essere ingannevole. Sebbene in generale attribuisca queste differenze di percezione all’incantesimo, crede anche che la paura possa ingannare i sensi, come dice al suo scudiero: “«La paura che hai,» disse don Chisciotte, «fa sì che tu, Sancio, non veda né senta bene, perché uno degli effetti della paura è quello di disturbare i sensi e far sì che le cose non sembrino quelle che sono.»” Così, la realtà viene presentata come suscettibile di essere interpretata in modi diversi, a seconda dell’osservatore e del suo punto di vista.
Infine, anche Sancio inizia a vedere la realtà distorta secondo le sue aspettative, quando cerca la testa del gigante che crede sia stato sconfitto dall’hidalgo, e non vede che il suo padrone stava tagliando degli otri di vino.
L'ideale e il reale
Don Chisciotte, spinto dalla lettura dei romanzi cavallereschi, esce nel mondo alla ricerca delle avventure che ha letto in essi. Il mondo rappresentato nella sua immaginazione è il mondo ideale dei suoi libri. C’è quindi un contrasto tra l’ideale e la realtà che lo circonda.
Sancio Panza mostra chiaramente questo contrasto quando lo avverte che la sua visione non è conforme alla realtà. Risulta evidente, per esempio, quando don Chisciotte cerca di procurarsi una nuova celata e Sancio gli dice: “Badate bene che per nessuna di queste strade vanno uomini armati, sì bene mulattieri e carrettieri i quali non solo non portano celate, ma forse non le hanno mai sentite mentovare in tutta la loro vita”.
La novella intercalata de L’indagatore malaccorto tratta lo stesso tema, anche se le conseguenze sono tragiche piuttosto che comiche. Anselmo, per la sua impertinente curiosità, vuole verificare se la moglie raggiunge il livello ideale di perfezione che lui pretende, e l’esperimento che conduce porta a un esito fatale.
La giustizia
Uno degli ideali perseguiti da don Chisciotte è la giustizia. Come cavaliere errante, uno dei suoi obiettivi è garantire la giustizia nel mondo, che crede di poter ottenere grazie al suo coraggio e al suo impegno. Questo è il motivo che lo spinge ad agire nella sua prima uscita, quando trova il pastore legato a una quercia e il suo padrone che lo picchia ingiustamente. A volte, la giustizia che il nobile difende è in contrasto con quella stabilita dall’istituzione giuridica, come nell’episodio della liberazione dei galeotti: Don Chisciotte vede i condannati costretti ad agire contro la loro volontà e decide che questo è un motivo sufficiente per liberarli. D’altra parte, nelle testimonianze di questi uomini, la corruzione dell’istituzione giuridica diventa evidente. Risulta chiaro quando uno degli uomini in catene dichiara che andrà nelle galee “per mancanza di dieci ducati”, con i quali avrebbe potuto corrompere chi lo aveva condannato: “Dico questo perchè se a suo tempo avessi avuto quei venti ducati che ora vostra signoria mi offre, avrei unto con essi la pendola dello scrivano e ravvivato l’ingegno del procuratore, così che oggi mi vedrei in mezzo alla Piazza di Zocodover di Toledo, e non su questa strada, intrappolato come un levriero […]”. L’episodio mostra anche la crudeltà con cui l’istituzione esercita il suo potere, quando si narra che un altro condannato è stato torturato (“gli hanno dato il tormento”) per fargli confessare il suo crimine, e che oltre alla condanna gli sono state date duecento frustate.
Stile e verosimiglianza letteraria
Il tema della verosimiglianza letteraria è molto presente nel Don Chisciotte. Per esempio, dopo aver letto la novella intercalata de L'indagatore malaccorto, il prete ne critica la mancanza di verosimiglianza: “«Bene», disse il prete, «questo mi sembra un romanzo, ma non posso persuadermi che sia vero; e se è finito, l’autore ha finito male, perché non si può immaginare che ci sia un marito così sciocco, che farebbe un’esperienza così costosa come Anselmo.»” La verosimiglianza letteraria rende un’opera migliore, secondo i suoi criteri, e la novella manca di questa qualità, cioè è difficile credere che la sua trama sia vera. Tuttavia, nonostante questa mancanza di contenuto, il modo in cui è narrata, cioè lo stile, piace al prete: “per quanto riguarda il modo di raccontare, non sono soddisfatto”.
Anche il canonico toledano fa riferimento alla verosimiglianza letteraria quando spiega: “quanto più la menzogna sembra vera, tanto meglio è, e tanto più piace quanto più hai il dubbio e del possibile”, e aggiunge che la perfezione di ciò che si scrive consiste nella “verosimiglianza” e nell'“imitazione”.
Allo stesso modo, il narratore del romanzo presenta la storia di don Chisciotte come documentata da varie fonti, per creare un effetto di verosimiglianza. Lo si può notare all’inizio del romanzo, dove fa riferimento ai diversi autori su cui si è basato: “Dicono che avesse soprannome Chisciada o Chesada, e in questo c’è qualche differenza negli autori che scrivono di questo caso, anche se per congetture plausibili si lascia intendere che il suo nome fosse Chesciana. Ma questo ha poca importanza per la nostra storia: è sufficiente che la narrazione non si discosti di una virgola dalla verità”.