Don Chisciotte della Mancia (parte 1)

Don Chisciotte della Mancia (parte 1) Riassunto e analisi di di Don Chisciotte della Mancia (parte 1) - Capitoli 9 - 11

Riassunto

Capitolo 9: Dove ha conclusione e fine la mirabile battaglia che il prode biscaglino ed il valente mancego ebbero fra loro

Il narratore non può credere che il seguito della storia del famoso Hidalgo sia andato perduto e che nessuno studioso l’abbia trascritto, come invece hanno fatto per altri cavalieri erranti. Pensa che sia stato il passare del tempo a far perdere la storia, ed è ansioso di saperne di più sulla vita del nobile della Mancia, il primo della sua epoca a riprendere l’attività di cavaliere errante.

Fortunatamente, un giorno, nell’Alcanà* di Toledo, un giovane gli offre alcuni carteggi. Riconosce i caratteri arabi di uno di essi e chiede a un moro di dirgli di cosa si tratta. Il moro legge, si mette a ridere e traduce un frammento che parla di Dulcinea del Toboso. Gli chiede di leggere il titolo e il moro traduce: “Istoria di don Chisciotte della Mancia, scritta da Cide Hamete Benengeli, storico arabo”. Poi, nascondendo la sua soddisfazione, compra tutti i carteggi dal ragazzo. Chiede al moro di tradurre l’intera opera e quest’ultimo lo fa in un mese e mezzo di tempo.

Nel primo carteggio c’è un dipinto che raffigura il momento in cui don Chisciotte e il biscaglino, con le spade alzate, stanno per scontrarsi. Ai piedi dell’uomo si legge “Don Sancio de Azpeitia”, che presumibilmente è il suo nome, e ai piedi di Ronzinante si legge “Don Chisciotte”. Viene raffigurato anche Sancio Panza, grasso, non molto alto e con le gambe lunghe, con un cartello che recita “Sancio Zanche”. “Zanche” è un altro soprannome con cui è conosciuto, data la lunghezza delle sue gambe. Il narratore mette quindi in dubbio la veridicità del testo arabo, per poi presentare il testo tradotto dal moro.

Vi si racconta che l’uomo di Biscaglia distrugge parte della celata di don Chisciotte e gli taglia mezzo orecchio. Quest’ultimo si scaglia furiosamente e lo colpisce alla testa facendolo sanguinare. Allora, il biscaglino cade dal suo mulo e il nobile della Mancia si avvicina per chiedergli di arrendersi. L’altro, ferito, non è in grado di rispondergli, ma le donne che viaggiano in carrozza con lo scudiero chiedono a don Chisciotte di risparmiargli la vita. Il nobile accetta a condizione che lo scudiero si presenti davanti a Dulcinea e faccia tutto ciò che lei desidera. Le donne, timorose, accettano l’accordo.

Capitolo 10: Dei piacevoli ragionamenti che tennero fra loro don Chisciotte e Sancio Panza suo scudiero

Sancio Panza prega Dio che il nobile sia vittorioso e che venga nominato governatore di qualche isola e dice a don Chisciotte che si sente già adatto a governare un’isola. L’hidalgo gli spiega che il tipo di avventura che si è appena svolta non è quella delle isole, ma dei crocevia, e gli dice di avere pazienza, che presto avrà la possibilità di nominarlo governatore o gli darà una carica ancora più grande. Sancio è molto riconoscente e bacia la mano e parte dell'armatura del suo signore. Poi propone di rifugiarsi in una chiesa, perché la Santa Fratellanza potrebbe punirli per aver ferito l’uomo con cui il nobile ha combattuto. Don Chisciotte gli chiede dove ha letto che un cavaliere errante viene consegnato alla giustizia, indipendentemente dal numero di omicidi che ha commesso. Sancio gli dice che non capisce nulla di omicidi e il nobile lo rassicura chiedendogli se ha mai visto sulla terra un cavaliere più coraggioso di lui. Il contadino risponde che non sa né leggere né scrivere, ma può assicurargli che è il padrone più audace che abbia mai servito.

Sancio si offre di curare la ferita con un unguento e il padrone gli dice che non sarebbe necessario se avesse preparato un balsamo di Fierabraccio, con il quale basta una goccia per guarire qualsiasi ferita. Poi gli spiega che con questo balsamo non c’è bisogno di temere la morte e che lo preparerà e glielo consegnerà per custodirlo. Aggiunge anche che se il suo corpo si fa in pezzi in battaglia, dovrà far combaciare le parti e dargli due sorsi di balsamo per rimettere tutto al proprio posto. Sancio gli dice che rinuncia all’isola e vuole solo la ricetta del balsamo come pagamento dei suoi servizi. Gli chiede se è costoso prepararlo e l’hidalgo risponde di no.

Quando don Chisciotte si rende conto che la sua celata è rotta, fa un giuramento simile a quello del Marchese di Mantova, “di non mangiare pane seduto a mensa apparecchiata” e di non avere rapporti con le donne, fino a quando non si sarà vendicato del biscaglino. Tuttavia, Sancio gli ricorda che se l’uomo adempie al compito di presentarsi a Dulcinea, non merita altra punizione. Don Chisciotte è d’accordo con lui e cambia il suo giuramento. Decide di fare penitenza finché non avrà ottenuto un’altra celata, sottraendola con la forza a un altro cavaliere, e gli racconta che qualcosa di simile è accaduto con l’elmo di Mambrino. Sancio allora lo avverte che non troverà nessuno che indossi una celata, e forse nessuno che abbia sentito la parola “celata” in vita sua.

L’hidalgo chiede qualcosa da mangiare e lo scudiero risponde che ha solo una cipolla, del pane e un poco di formaggio, e che quel cibo non si addice a un cavaliere. Don Chisciotte afferma che è un onore per i cavalieri non mangiare per un poco di tempo e che, quando lo fanno, devono nutrirsi con tutte le erbe che riescono a trovare. Sancio dice che farà scorta di noci da dargli e di altri cibi più “volœatili” per il proprio nutrimento.

Entrambi mangiano tranquillamente e poi cercano di raggiungere un villaggio prima del tramonto. Poiché non ci riescono, dormono vicino ad alcune capanne di caprai, all’aperto, cosa che don Chisciotte considera un gesto che dimostra la sua cavalleria.

Capitolo 11: Di ciò che successe a don Chisciotte con certi caprai

I caprai invitano don Chisciotte e Sancio Panza a mangiare con loro. Il nobile invita il contadino a sedersi accanto a lui, aggiungendo che la cavalleria rende tutti uguali, Sancio lo ringrazia, ma dice che preferisce altri favori più convenienti di questo, perché gli piace mangiare da solo per non dover rispettare le buone maniere a tavola. I caprai non capiscono il gergo cavalleresco e quando don Chisciotte parla loro tacciono.

Dopo aver mangiato, don Chisciotte fa un discorso sull'Età dell’Oro, affermando che allora le cose erano comuni e la gente traeva il proprio sostentamento dalla natura. Fa anche un paragone tra quei tempi e i secoli attuali, in cui l’insicurezza e la malvagità hanno reso necessaria l’istituzione dell’ordine dei cavalieri erranti, a cui lui appartiene. Ringrazia poi i caprai per averli accolti.

Per intrattenere gli ospiti, un compagno dei caprai, Antonio, suona il suo rabel e canta, su loro richiesta, una storia d’amore. Alla fine, don Chisciotte lo prega di cantare ancora, ma Sancio si oppone, sostenendo che i caprai devono dormire. Il nobile risponde che può dormire se vuole mentre per la sua professione è meglio stare svegli. Chiede poi a Sancio di curargli la ferita all’orecchio ma un capraio, vedendola, prepara un rimedio efficace mescolando foglie di rosmarino morsicate e sale.

Analisi

L’esito del confronto tra don Chisciotte e il biscaglino è presentato come una comune narrazione a cornice. Quasi tutti il nono capitolo racconta la storia del ritrovamento della “Istoria di don Chisciotte della Mancia, scritta da Cide Hamete Benengeli, storico arabo”. Questo espediente è una parodia dei romanzi cavallereschi che spesso presentavano le loro storie come provenienti da manoscritti, scritti in un’altra lingua. Il narratore, che acquista il testo in caratteri arabi e lo fa tradurre, racconta la storia di come lo ha trovato e fa delle osservazioni su di esso. Dubita della sua veridicità e ne attribuisce i difetti all’autore arabo. Anche se accenna al fatto che l’autore potrebbe essere un bugiardo, più tardi, nel sedicesimo capitolo, dirà di lui che è uno “storico quanto mai diligente e preciso in tutto”.

Inoltre, la descrizione dell’aspetto fisico di Sancio Panza appare nel quadro che si trova nel primo careggio: “un gran pancione, la statura bassa e le cianche lunghe, sì che dovette per questo essere detto Panza o Zanche”. Il soprannome “Zanche” non compare più nel racconto.

Il confronto con il biscaglino è uno dei pochi da cui don Chisciotte esce vittorioso. Sancio teme che la Santa Fratellanza li condanni per l’accaduto e suggerisce al nobile di rifugiarsi in una chiesa. La Santa Fratellanza era un corpo armato che condannava gli atti criminali, senza appello al tribunale. Sancio vuole rifugiarsi in una chiesa, perché le autorità civili non possono arrestare nessuno in quel luogo. Inoltre, confonde la parola “omicidio” con “omecillo”, che significa “rancore”. Anche qui si confrontano le visioni differenti del contadino e del nobile, poiché don Chisciotte nega la possibilità che un cavaliere possa essere assicurato alla Giustizia.

La leggenda del balsamo di Fierabraccio, a cui fa riferimento don Chisciotte, è legata al ciclo dei romanzi cavallereschi su Carlo Magno e i Dodici Paladini. Secondo la leggenda, questo balsamo era un rimedio magico che guariva le ferite mortali. Fierabraccio era un gigante che trasportava due barili di balsamo rubati a Gerusalemme, lo stesso balsamo che era stato usato per ungere Gesù prima della sua sepoltura. Il gigante perde i barili in una battaglia e Oliviero, uno dei Dodici Paladini di Francia, li trova e beve il balsamo, curando le sue ferite mortali.

Don Chisciotte fa riferimento all’elmo di Mambrino quando parla della sua intenzione di sostituire la celata. Questo meraviglioso oggetto, fatto di oro puro, rendeva invulnerabile chiunque lo possedesse. Il suo proprietario originario era stato il leggendario re moro Mambrino e il suo possesso era l’ambizione di tutti i paladini di Carlo Magno. Questo motivo viene spesso ripreso a partire dal ventunesimo capitolo e avrà un ruolo importante nel romanzo.

Con l’espressione “di non mangiare pane seduto a mensa apparecchiata” don Chisciotte intende non mangiare cibo servito in modo cerimoniale. Qui si fa di nuovo riferimento alla storia del marchese di Mantova, la stessa che aveva recitato in precedenza, quando il mulattiere dei mercanti di Toledo lo lascia a terra ferito e incapace di alzarsi. Sancio dice che farà scorta di noci per l’hidalgo e di cose più “volatili” per lui. Questa affermazione può essere letta come una presa in giro, poiché “volatile” significa sia “qualcosa di più leggero” che un “uccello”. Probabilmente Sancio voleva fare scorta di uccelli conservati in salumi o sottaceti, che di solito venivano portati come provviste durante i viaggi.

Infine, nell’undicesimo capitolo si descrive il mondo pastorale dei caprai. In questo contesto ha luogo il discorso di don Chisciotte sull’Età dell’Oro. Egli allude all’amicizia, all’uguaglianza tra uomini e all’uso dei beni comuni: “allora coloro che ci vivevano ignoravano queste due parole del tuo e del mio.” L’Età dell’Oro è un’epoca mitica in cui, secondo i poeti, gli uomini vivevano felici, un luogo comune che trova il suo modello nelle Metamorfosi di Ovidio e nelle Georgiche di Virgilio, ed è legato alla letteratura pastorale. Il discorso di don Chisciotte funge da preambolo per l’azione pastorale che verrà narrata nei capitoli successivi.

Importante è il forte contrasto tra gli atteggiamenti di don Chisciotte e Sancio Panza. L’abnegazione del nobile si contrappone al comportamento dello scudiero, che desidera mangiare e bere in abbondanza e dormire comodamente. Inoltre, ricordiamo che nell’ottavo capitolo lo scudiero afferma di lamentarsi “del più piccolo dolore”. Al contrario, don Chisciotte preferisce vegliare piuttosto che dormire: “quelli della mia professione miglior figura fanno a vegliare che a dormire”; crede addirittura che dormire a cielo aperto gli dia il diritto di essere considerato un cavaliere: “quanto fu di rincrescimento per Sancio il non arrivare a un borgo, fu di contentezza per il suo padrone passarla dormendo a cielo scoperto, parendogli che ogni qual volta gli avvenisse questo, fosse atto positivo di possesso, che più facilmente dava prova del suo spirito cavalleresco”; e non pretende mangiare in abbondanza: “è virtù dei cavalieri erranti non mangiare per un mese, e, anche che mangino, abbia ad essere di quel che possan trovare più a portata di mano”. Come si è visto nell’ottavo capitolo, il cavaliere non si lamenta del dolore: “se non mi lamento del dolore, è perché non è dato ai cavalieri lamentarsi di alcuna ferita”. Don Chisciotte rispetta attentamente questi principi e li trova persino piacevoli, mentre il suo scudiero si oppone, punto per punto, a ciascuno di essi.

* Mercato [N.d.T.]