“Gli gridavano i suoi padroni che non lo picchiasse poi tanto e lo lasciasse andare, ma il giovanotto ormai ci s'era messo a picca e non volle smettere il giuoco fino a far di tutti.” (Metafora)
Quando don Chisciotte vuole attaccare uno dei mercanti di Toledo, Ronzinante inciampa e il cavaliere giace a terra senza potersi rialzare. Poi, un mulattiere gli spezza la lancia e lo colpisce con i pezzi di essa. I suoi padroni cercano di fermarlo con le loro grida, ma lui è così pieno di rabbia che non vuole fermarsi. L’espressione usata qui “non volle smettere il giuoco fino a far di tutti”, deriva dal gioco delle carte e significa “scommettere tutto ciò che è rimasto”. Qui è usata metaforicamente nel senso di “liberarsi da tutta la rabbia che gli è rimasta”.
“Sancio, tutto cataplasmi, era già a letto, e per quanto cercasse di dormire, non glielo permetteva il dolore che sentiva nelle costole; don Chisciotte poi, tormentato dalle sue, teneva gli occhi aperti come una lepre.” (Similitudine)
Don Chisciotte non riesce a dormire a causa del dolore. Il narratore usa la similitudine “teneva gli occhi aperti come una lepre” per sottolineare la situazione di veglia del personaggio. Questa similitudine si spiega con la credenza popolare secondo cui le lepri non chiudono gli occhi nemmeno quando dormono.
[…] don Chisciotte alzò gli occhi e vide che su per la strada ch'ei seguiva, venivano un dodici individui a piedi, legati in fila per il collo, come chicchi di rosario, in una grossa catena di ferro, e tutti ammanettati. […].” (Similitudine)
Questa similitudine rappresenta il modo in cui sono incatenati i galeotti che don Chisciotte incontra sulla strada reale. Sono paragonati a “chicchi di rosario” che compongono una collana, e la collana è la catena di ferro che li lega insieme. Il modo in cui sono incatenati fa capire che si tratta di criminali molto pericolosi. Più avanti, don Chisciotte usa la metafora di un rosario o una corda (una serie di cose messe in ordine su un filo, uno spago, ecc.), alludendo di nuovo al modo in cui sono incatenati: “Io m'imbattei in una corona, in una filza di gente afflitta e sventurata”.
“Luminare dai tre volti.” (Metafora)
Con questa metafora don Chisciotte si riferisce alla luna, alla quale si rivolge per chiedere notizie della sua amata Dulcinea. La metafora si spiega con il fatto che le tre “facce” della luna sono le sue rispettive facce visibili: crescente, piena e calante. Le tre facce possono anche riferirsi alla triplice divinità della mitologia romana Diana, che si chiamava Luna in cielo, Diana in terra e Proserpina o Ecate negli inferi. Lo vediamo anche nell’Ode a Diana di Orazio: “Vergine, custode dei monti e delle foreste, Dea dalle tre forme, chiamata tre volte”.