Spada e speroni (Simboli)
La spada e gli speroni sono simboli dei cavalieri. Una caratteristica distintiva dei cavalieri era che portavano la spada intorno alla vita, mentre gli scudieri la portavano al collo (almeno fino all’inizio del XIV secolo). D’altra parte, gli speroni dei cavalieri si distinguevano per il fatto di essere d’oro, mentre quelli degli scudieri erano d’argento. Nel Medioevo, durante la cerimonia di investitura cavalleresca, una fanciulla solitamente cingeva la spada del cavaliere neofita e gli metteva gli speroni. Questo rito viene parodiato nel terzo capitolo del romanzo, in cui l’oste della locanda segue la finta cerimonia su richiesta di don Chisciotte, mentre le donne che lavorano per lui cingono la spada e infilano gli speroni all’ospite per imitare il rito:
“Fatto ciò, comandò a una di quelle dame che gli cingesse la spada; il che ella fece con molta disinvoltura e sostenutezza, che non ce ne volle poco per non schiantar dalle risa a ogni istante della cerimonia: ma le prodezze già vedute del novello cavaliere tenevan loro le risa a segno. Nel cingerle la spada disse la dabbene signora: «Dio vi faccia avventuratissimo cavaliere e vi dia fortunanelle battaglie». […] L'altra gli affibbiò lo sprone e anche con lei egli tenne quasi lo stesso discorso che con quella la quale gli aveva cinto la spada.”
Il processo inquisitorio (Allegoria)
Il quinto e il sesto capitolo presentano un’allegoria degli atti pubblici dell’Inquisizione, dove avveniva la lettura e l’esecuzione della sentenza dei condannati per eresia. In questa allegoria gli accusati sono i libri di don Chisciotte, che vengono paragonati agli eretici e, come tali, condannati al rogo. La nipote di don Chisciotte si augura che “bruciaste tutti questi maledetti libri ché molti ne possiede i quali ben meritano di essere arsi come libri ereticali”. Il sacerdote è d’accordo e aggiunge: “non ha da passare domani se non si faccia una pubblica esecuzione e non siano condannati al rogo”. Poi, l’allegoria del processo inquisitorio continua quando il sacerdote passa in rassegna i libri di don Chisciotte, uno per uno, “poiché poteva darsi che se ne trovassero alcuni i quali non meritassero il castigo del rogo”. Più avanti il narratore aggiunge che le donne della casa di don Chisciotte desiderano che il sacerdote bruci i libri “tanta voglia avevano tutte e due di distruggere quegli innocenti”. Quando il prete getta il primo libro nel fuoco si legge: “e quel caro Esplandiano andò di volo giù in cortile in pazientissima attesa del fuoco minacciatogli”. Così il libro Gesta di Esplandiano appare personificato, continuando l’allegoria. Nella stessa ottica, nel quarantasettesimo capitolo, il sacerdote racconta al canonico l’esame effettuato nella biblioteca del nobile, distinguendo tra i libri che “aveva condannato al fuoco” e di quelli che “aveva risparmiato”.
Cipresso, carpino e oleandro (Simboli)
I pastori che si recano al funerale di Grisostomo indossano corone di cipresso, carpino e oleandro in segno di lutto. Il cipresso è un simbolo funebre e di morte, e nell’antichità era legato al culto di Plutone e degli inferi. Il carpino è un albero molto longevo e velenoso, anch’esso utilizzato come simbolo funebre, sebbene sia anche simbolo di vita eterna. L’oleandro è simbolo di mancanza d’amore, amarezza e morte. A volte, quest’ultimo rappresenta anche la donna sprezzante perché è noto per la sua bellezza, ma anche per i suoi effetti letali, poiché è molto velenoso. In questo caso può essere associato a Marcella, una bella donna indifferente agli uomini, per la quale Grisostomo muore d’amore. Il narratore cita questi simboli per indicare che i pastori sono in lutto: “Né avevano fatto un quarto di lega, che all'incrocio d'un sentiero, si videro venire incontro sei pastori vestiti di negre pelli e con in capo ghirlande di cipresso e di amaro oleandro”; “Erano in questi discorsi quando videro che dalla gola che formavano due alte montagne scendevano una ventina di pastori, tutti vestiti di pelli di lana nera e coronati di ghirlande che, a quel che poi si vide, erano quale di càrpino e quale di cipresso”.
Iscrizione d’amore sulla corteccia di un albero (Motivo)
L’iscrizione d’amore sulle cortecce degli alberi è un motivo letterario di lunga tradizione. Pietro racconta l’amore appassionato che Marcella suscita negli uomini del luogo sottolineando i fatti con questo motivo:
“Non è molto lontano di qui un luogo dove sono quasi due dozzine di alti faggi: non ce n'è alcuno che nella sua liscia corteccia non abbia inciso e tracciato il nome di Marcella. Su qualcuno poi c'è una corona incisa nell'albero stesso, come se l'amante volesse dire in modo più chiaro che Marcella porta e merita la corona d'ogni umana bellezza.”
Lo stesso motivo lo ritroviamo, per esempio, nelle Bucoliche di Virgilio: “E' certo: meglio patire nelle selve, / fra le spelonche delle fiere, e incidere i miei amori sui teneri alberi. / Questi cresceranno, e anche voi crescerete, amori.” Lo troviamo anche nelle Eroidi di Ovidio: “I faggi, incisi da te, / conservano il mio nome: / si legge Enone, tracciato dal tuo falcetto. / E quanto crescono i tronchi, / altrettanto cresce il mio nome: / crescete e tiratevi su dritti / per attestare i miei titoli.”