Riassunto
Capitolo 6: Della graziosa e generale disamina che il curato e il barbiere fecero nella libreria del nostro fantasioso nobiluomo
Il prete e il barbiere si recano a casa di don Chisciotte e chiedono alla nipote le chiavi della stanza in cui il nobile tiene i libri, vi entrano e, insieme alla governante, vedono che ci sono più di cento libri. Il prete chiede al barbiere di portagli i libri, uno per uno, per capire se meritano di essere bruciati. Il primo che riceve è I quattro libri del virtuoso cavaliere Amadigi di Gaula, che decide di conservare perché è il miglior romanzo cavalleresco. Fu anche il primo a essere stampato in Spagna e fu imitato da tutti gli altri. Poi il barbiere gli consegna le Gesta di Esplandiano e Amadigi di Grecia, e il prete decide di bruciare questi e altri dello stesso genere. Tutti sono d’accordo con lui.
Il prete spiega poi che rispetterebbe il libro di Ludovico Ariosto se fosse presente in lingua originale, ma non in altre lingue, e aggiunge che nessun poema tradotto ha lo stesso valore dell’originale. Aggiunge poi che Specchio di fatti di cavalieri e tutti quelli del ciclo di romanzi cavallereschi devono essere depositati in un pozzo, finché non deciderà cosa farne.
In seguito, il barbiere gli consegna Palmerino d’Inghilterra, e il prete sostiene che bisogna conservarlo perché è un buon libro. Dà poi al barbiere Don Belianigi, finché lo tenga prima di decidere cosa farne. Alla fine, stanco di sfogliare i libri, dice alla governante di gettare il resto nel cortile, per dargli fuoco, cosa che lei fa volentieri. Nella biblioteca di don Chisciotte sono rimasti solo piccoli libri, e il prete ritiene che siano poesie, e che non devono essere bruciate perché, a differenza dei romanzi cavallereschi, non fanno male a nessuno. Tuttavia, la nipote di don Chisciotte teme che leggendo questi libri lo zio possa diventare un pastore e camminare nei boschi, oppure diventare un poeta, cosa che lei considera una malattia. Il prete è d’accordo con lei, ma decide comunque di conservarne alcuni per riconoscerne i meriti. Tra questi decide di tenerne uno di Cervantes, La Galatea, a cui attribuisce una certa originalità e, inoltre, si dichiara grande amico del suo autore. Dopo aver lodato alcuni titoli, decide infine di bruciare gli altri senza controllarli. Il barbiere ne tiene uno in mano e il prete, sentendone il nome, lo salva dal rogo perché il suo autore aveva fatto ottime traduzioni delle favole di Ovidio.
Capitolo 7: Della seconda uscita del nostro valoroso cavaliere don Chisciotte della Mancia
Don Chisciotte inizia a gridare dal suo letto e tutti si recano nella sua stanza, mettendo fine al compito di esaminare i libri. Trovano don Chisciotte che pugnala le pareti, riescono a calmarlo e a rimetterlo a letto. Dopo aver mangiato, il nobile si addormenta di nuovo.
Quella notte la serva brucia tutti i libri, sia quelli nel recinto che quelli rimasti in casa. Tra di essi ci sono libri che avrebbero dovuto essere conservati, ma hanno avuto lo stesso destino a causa della pigrizia di chi li ha passati in rassegna. Il prete e il barbiere consigliano di murare la stanza dove si trova la biblioteca e di dire a don Chisciotte che è stato un incantatore a portarla via. Il nobile si sveglia due giorni dopo e cerca senza successo la sua stanza dei libri. La nipote gli racconta che un incantatore, chiamato il “savio Mugnatone” è arrivato in volo su un serpente e ha fatto sparire la stanza, dicendo che il proprietario dei libri era suo nemico. La serva non ricorda si chiama “Frestone” o “Frittone”. Don Chisciotte afferma di sapere chi è l’incantatore e dice che gli sta facendo del male perché in futuro affronterà il cavaliere che lui protegge.
Il cavaliere trascorre quindici giorni in tranquillità e spiega al prete e al barbiere la necessità di ripristinare l’erranza cavalleresca nel mondo. Si reca poi dal suo vicino, un povero contadino, Sancio Panza, e lo convince ad accompagnarlo come scudiero nella sua avventura. Gli promette, tra l’altro, che se dovessero conquistare un’isola, lo nominerà governatore. Il contadino decide di lasciare moglie e figli per accompagnarlo e dice a don Chisciotte che lo farà su un asino, cosa che sembra strana al nobile, che non ricorda nessuno scudiero che abbia accompagnato un cavaliere in questo modo.
Don Chisciotte si rifornisce di camicie e altre cose, proprio come gli aveva consigliato l’oste. La sera partono senza salutare nessuno e senza che nessuno li veda, e all’alba sono abbastanza lontani da non poter più essere raggiunti. Prendono la stessa strada che don Chisciotte aveva percorso nella sua prima uscita, attraverso la campagna di Montiel. Sancio Panza gli ricorda la sua promessa e il nobile gli dice che se vinceranno qualche regno, lo incoronerà re. Il contadino teme che Nanna Gutiérrez, sua moglie, non sia all’altezza del titolo di regina. Don Chisciotte lo incoraggia e alla fine lo scudiero si fida del fatto che il suo padrone gli concederà ciò che gli spetta.
Capitolo 8: Del prospero successo che il prode don Chisciotte ebbe nella spaventosa e mai pensata avventura dei mulini a vento, nonché d’altri successi degni di felice ricordanza
Poco dopo la partenza, don Chisciotte e Sancio Panza trovano più di trenta mulini a vento nelle campagne e il nobile li scambia per giganti. Si prepara ad affrontarli e dice al suo scudiero che prenderà il bottino come legittimo trionfo, poiché si tratta di una “buona guerra”.
Sancio lo avverte che si tratta di mulini a vento, ma il cavaliere lo ignora e attacca le macchine, pronunciando parole eroiche e raccomandandosi alla sua amata Dulcinea. Quindi, infila la lancia contro la pala del mulino a vento e la forza della lama spinge via lui e il suo cavallo, frantumando la lancia. Sancio accorre in suo aiuto e il nobile gli dice che lo stesso saggio Frestone che un tempo lo aveva derubato della sua stanza con i suoi libri, ora trasforma i giganti in mulini a vento, per togliergli la gloria della sua vittoria. Proseguono lungo la strada per Puerto Lápice. Don Chisciotte si ricorda di un cavaliere che aveva ricavato una lancia da un tronco di quercia e vuole imitarlo per sostituire la sua. Il compagno lo avverte che sta cavalcando con il corpo piegato e il cavaliere dice che, pur soffrendo, non è ammissibile che un cavaliere si lamenti.
Sancio mangia e beve mentre accompagna don Chisciotte. La notte entrambi vanno a riposare tra alcuni alberi della campagna e il cavaliere costruisce una nuova lancia aggiungendo un ramo secco alla parte rimasta della sua. Poi, trascorre la notte insonne pensando a Dulcinea, imitando i cavalieri dei romanzi che ha letto, mentre Sancio dorme profondamente.
Il giorno dopo si mettono in viaggio e don Chisciotte avverte l’amico che non può affrontare altri cavalieri per aiutarlo e può sfoderare la spada solo contro uomini di basso rango, secondo le regole della cavalleria.
Sulla strada si avvicinano due frati dell’Ordine di San Benedetto, in sella a due enormi muli. Dietro di loro viaggia una signora di Biscaglia in carrozza, accompagnata da alcuni cavalieri e due mulattieri. Don Chisciotte li scambia per incantatori che trasportano una principessa rapita. Sancio lo mette di nuovo in guardia dalla sua confusione, ma l’hidalgo insiste, rispondendo che conosce poco i libri d’avventura.
Allora don Chisciotte si fa avanti, minaccia i frati e attacca uno di loro con tale furia che l’uomo cade dalla mula per evitare di essere ferito. L’altro, vedendo ciò che è successo al suo compagno, fugge in fretta e furia. Sancio Panza si avvicina per prendere gli oggetti del frate che giace a terra, credendo che il bottino gli spetti di diritto perché il suo padrone lo ha sconfitto. Arrivano i due mulattieri e, vedendo Sancio prendere le cose del loro padrone, lo picchiano e gli strappano la barba. Don Chisciotte, nel frattempo, si è avvicinato alla donna nella carrozza per dirle che l’ha liberata e le chiede in cambio di andare a Toboso per informare Dulcinea di ciò che ha fatto. Uno scudiero che accompagna la carrozza, vedendo che il nobile impedisce loro di avanzare, lo minaccia. Don Chisciotte si lancia contro lo scudiero, che a sua volta lo pugnala alla spalla e, allora, l’hidalgo si scaglia di nuovo contro di lui. A questo punto la narrazione si interrompe. Il narratore dice che l’autore si scusa per questa interruzione, dovuta al fatto di non essere riuscito a trovare altri scritti sulle imprese di don Chisciotte. Il narratore aggiunge che non crede all’idea che la storia completa di don Chisciotte non sia stata conservata negli archivi della Mancia e che spiegherà come l’ha trovata.
Analisi
Nel sesto capitolo continua l’allegoria del processo inquisitorio, in cui i libri sono paragonati a eretici condannati al rogo. Il prete procede come un giudice e, dopo l’accusa della nipote di don Chisciotte, sceglie i libri da condannare. Li consegna poi alla cameriera, il "braccio secolare”, affinché li getti nel recinto dove saranno bruciati, proprio come l’inquisizione consegnava i suoi condannati alla giustizia secolare, cioè non ecclesiastica, perché eseguisse la sentenza. Di tutti i libri citati in questo capitolo, il prete ne “salva” alcuni, tra cui La Galatea (1585), un libro della giovinezza dell’autore. Cervantes aveva intenzione di pubblicare un seguito di questo libro, ma non lo fece mai. Il prete attribuisce una certa originalità alla prima parte e lo perdona, dicendo che: “bisogna attendere la seconda parte che promette; forse, correggendosi, conseguirà del tutto l'indulgenza che ora gli è negata”.
Il libro di Ludovico Ariosto che il prete cita e ammira è l’Orlando Furioso, e vale la pena ricordare che l’Inquisizione fece censurare alcune parti di questo poema. Inoltre, a proposito di questo libro, il prete fa un’interessante osservazione sull’impossibilità di tradurre la poesia senza che perda il suo valore originale.
L’allegoria del processo inquisitorio si conclude nel settimo capitolo, quando la governante brucia tutti i libri di don Chisciotte. Il narratore li paragona ai peccatori quando dice: “così si avverò in essi il proverbio che talvolta il giusto la paga per il peccatore”, riferendosi al fatto che sono stati bruciati libri che meritavano di essere conservati.
Poi la nipote e la governante ingannano don Chisciotte con la storia dell’incantatore che ha fatto sparire la stanza con i libri. Chiamano il mago “Mugantone” o “Frittone” e don Chisciotte dice loro che il suo nome è “Frestone”, che ricorda l’incantatore del libro cavalleresco Don Belianigi.
In seguito, don Chisciotte si prepara per la sua seconda uscita, che inizia alla fine di questo capitolo. Qui viene presentato lo scudiero che da questo momento accompagnerà il cavaliere nelle sue avventure, diventando un amico fedele. Sancio Panza è un povero e onesto contadino con “ben poco sale in zucca”, cioè poco intelligente. La presentazione che ne deriva è ironica, ben lontana da ciò che ci si potrebbe aspettare dallo scudiero di un cavaliere errante.
Don Chisciotte, per convincerlo ad accompagnarlo, gli promette, tra le altre cose, che lo nominerà governatore di un’“insula”. Anche questa è una cosa che ha letto nei suoi libri, come lui stesso sottolinea: “Tu devi sapere, amico Sancio Panza, che fu costumato molto ordinariamente dai cavalieri erranti antichi di fare i loro scudieri governatori delle isole o regni che conquistavano, ed io ho stabilito che per causa mia non venga meno tale graziosa costumanza […]”. La parola “insula” è un uso lessicale e letterario antico che significa isola, che potrebbe comparire in questo modo nei romanzi cavallereschi, per cui don Chisciotte la adotta. Tuttavia, Sancio molto probabilmente non ne conosce il significato, poiché, come si dirà più avanti nel capitolo dieci, è analfabeta. Lo scudiero, quindi, ha solo una vaga idea di cosa sia un’“insula”, ma desidera comunque intensamente possederla. Non è chiaro, fino alla fine del romanzo, se Sancio abbia compreso il significato della parola, ma possiamo vedere quanto sia strana la parola nel suo ambiente, quando la moglie gli chiede: “cos’è questa storia delle insule che non capisco?”.
In questa occasione, come in molte altre, don Chisciotte istruisce Sancio Panza sulle questioni cavalleresche che il suo scudiero ignora. Il contadino, pur essendo completamente ignorante in materia cavalleresca, si fida del suo padrone, si lascia convincere dalla promessa di diventare governatore di un’isola, ingenuamente e forse per avidità, e si fida che don Chisciotte gli darà ciò che può permettersi. Fin dall’inizio Sancio Panza mostra a don Chisciotte segni di rispetto e ammirazione, e il nobile, da parte sua, nel primo dialogo tra i due personaggi, si rivolge a lui come “amico”. Sancio Panza è un personaggio al tempo stesso semplice, accorto e prudente, come si evince dall’esilarante commento che rivolge al suo padrone, mettendo in dubbio la capacità della moglie di diventare regina: “«Io ne dubito,» soggiunse Sancio Panza «perché per me sta, che, sebbene Dio mandasse sulla terra una pioggia di regni, nessuno si adatterebbe sulla capoccia di Maria Gutiérrez. Sappiate, signore, che per regina non vale due quattrini; contessa, le tornerà meglio, e Dio voglia magari.»”.
L’ottavo capitolo narra il famoso episodio in cui don Chisciotte combatte contro i mulini a vento. Si tratta della prima avventura di don Chisciotte accompagnato da Sancio Panza. Interessante notare come nella loro conversazione i rispettivi punti di vista risultino contrastanti: mentre il contadino della Mancia vede i soliti mulini a vento, l’hidalgo, a causa delle aspettative suscitate dai romanzi cavallereschi che ha letto, crede di vedere dei giganti. Inoltre, c’è un’ironia drammatica, perché il lettore sa ciò che il nobile non sa, cioè che sta per combattere contro i mulini a vento.
L’apparizione dei giganti è un motivo tipico della letteratura cavalleresca. Questi esseri compaiono anche nella Bibbia e nella mitologia e sono sempre nemici dell’uomo. Per questo don Chisciotte dice che è una “buona guerra” combatterli, il che significa che è una “guerra giusta”. I giganti, oltre ad essere di dimensioni prodigiose, sono moralmente malvagi. In letteratura vengono attribuiti loro atti come il rapimento di principesse, la cattura dei prigionieri, l’usurpazione di regni. Questo motivo compare di nuovo nel romanzo, per esempio nel capitolo trentacinque. Inoltre, quando don Chisciotte dice alla dama di Biscaglia di andare a Toboso per presentarsi a Dulcinea, segue l’esempio degli eroi cavallereschi, proprio come quando si raccomanda alla sua dama prima di iniziare la lotta con l’uomo biscaglino. La storia viene poi sospesa nel momento in cui i due avversari stanno per affrontarsi. L’interruzione serve a suscitare l’interesse del lettore. Si tratta anche di un espediente che compare spesso nei romanzi cavallereschi e che qui viene parodiato. Il narratore presenta la storia come basata sul racconto di un altro autore e si definisce “il secondo autore di quest’opera”.
Si conclude così la prima parte del libro L’ingegnoso hidalgo Don Chisciotte della Mancia, che è diviso in quattro parti, proprio come il libro di Amadigi di Gaula. La prossima parte racconterà come il narratore ha trovato il seguito della storia che ha raccontato finora.