Don Chisciotte della Mancia (parte 1)

Don Chisciotte della Mancia (parte 1) Riassunto e analisi di di Don Chisciotte della Mancia (parte 1) - Capitoli 18 - 20

Riassunto

Capitolo 18: Dove si racconta dei ragionamenti che tenne Sancio Panza col suo signore don Chisciotte, nonché di altre avventure degne di essere narrate

Don Chisciotte dice a Sancio Panza che gli uomini che lo hanno sbeffeggiato sono fantasmi, ma lo scudiero non ci crede, perché ha sentito i nomi di alcuni di loro, così come ha sentito che il locandiere si chiama Juan Palomeque detto il Mancino. Lo scudiero pensa che sarebbe meglio tornare a casa e ricorda al suo padrone che non hanno vinto nessuna battaglia, tranne quella contro il biscaglino, nella quale l’hidalgo ha perso mezzo occhio e parte della sua celata. Don Chisciotte vuole procurarsi una spada migliore, capace di evitare gli incantesimi, ma Sancio pensa che, come il balsamo, l’arma favorirà solo chi è cavaliere.

Poi vedono due nuvole di polvere alzarsi in lontananza: Don Chisciotte afferma che si tratta di eserciti che stanno per inneggiare battaglia, uno al comando dell’imperatore Alifanfarone e l’altro al comando del re dei Garamanti, Pentapolino. Il primo chiede la mano della figlia dell’imperatore, che rifiuta la richiesta perché non professa la religione cristiana. Don Chisciotte dice a Sancio di spostarsi, per vedere meglio gli eserciti, inizia a elencare i nomi dei cavalieri che li compongono, descrivendone le armi e gli scudi, e allude alle loro nazioni descrivendole con i loro epiteti.

Sancio nota che la polvere è stata prodotta da greggi di pecore e montoni e mentre don Chisciotte sente i suoni degli strumenti militari, lui sente il belato degli animali. Il nobile decide di combattere per il re Pentapolino e Sancio cerca di fermarlo, insistendo sul fatto che sta andando contro un gregge di pecore, ma Don Chisciotte gli dice che è la sua paura che non gli permette di vedere gli eserciti.

Don Chisciotte inizia a colpire le pecore con la lancia e allora i pastori che le sorvegliano, prima gli intimano di fermarsi e poi gli scagliano contro pietre e mandorle con le fionde, ferendolo a due costole. L’hidalgo inizia a bere il suo balsamo, ma una mandorla gli colpisce la mano, gli spezza alcuni denti e molari e rompe il contenitore con la bevanda. Cade da cavallo e i pastori, credendolo morto, si affrettano ad andare via.

Sancio maledice il suo destino mentre il nobile accusa il saggio incantatore di aver trasformato gli eserciti in mandrie di montoni e pecore. Poi chiede allo scudiero di vedere quanti denti e molari gli mancano e, quando quest’ultimo si avvicina, gli vomita sulla barba, a causa del balsamo che ha bevuto. Sancio vomita a sua volta sul padrone, quando riconosce l’odore della bevanda. Poi, mentre cerca qualcosa per pulire don Chisciotte, si accorge di non avere più le sue bisacce. Maledice di nuovo la fortuna e dice di voler tornare a casa. Allora Don Chisciotte lo consola affermando che tutte le cose brutte che sono accadute loro sono segni che le cose belle stanno per arrivare. Poiché non hanno nulla da mangiare, Sancio spera che il nobile sappia scegliere tra le erbe che sono lì attorno, ma don Chisciotte gli dice che Dio gli fornirà il cibo e che “ed è tanto misericordioso che fa sorgere il sole sui buoni e cui cattivi e fa piovere sopra gli ingiusti e i giusti”. Sancio risponde che è meglio come predicatore che come cavaliere errante. Allora il nobile aggiunge che andranno per la strada che lui sceglierà, e Sancio decide di seguire la strada reale, nella direzione in cui pensa di poter trovare un alloggio. Don Chisciotte si rammarica per i denti preziosi che ha perso, così Sancio, vedendolo scoraggiato, decide di intrattenerlo raccontandogli delle storie, delle quali si saprà nel capitolo seguente.

Capitolo 19: Degli assennati discorsi che Sancio faceva col suo padrone e del caso che gli avvenne con un morto, nonché di altri grandiosi avvenimenti

Sancio Panza crede che tutte le disgrazie che stanno accadendo a lui e al suo padrone siano dovute al fatto che il nobile non ha mantenuto il giuramento di “non mangiar pane a tavola apparecchiata” e di non avere rapporti con una donna, prima di ricevere l’“elmetto di Malandrino”. Don Chisciotte risponde che ha ragione e che avrebbe dovuto ricordarglielo prima.

Mentre camminano lungo la strada reale, cala la notte ma non hanno nulla da mangiare e nessun posto dove stare. Poi vedono delle luci in lontananza che avanzano verso di loro. Sancio comincia a tremare, pensando che siano fantasmi, ma don Chisciotte gli promette che questa volta lo proteggerà. Entrambi credono che gli uomini che avanzano siano circa una ventina, in giacca e cravatta, con asce fiammeggianti in mano. Dietro di loro c’è un carro con insegne a lutto che coprono anche le zampe dei muli su cui sono montate.

L’hidalgo immagina che si tratti di una delle avventure raccontate nei suoi libri e che probabilmente deve vendicare la morte di qualche cavaliere. Si mette quindi in mezzo al passaggio e costringe i passanti a dirgli chi sono, da dove vengono e dove sono diretti. Uno degli uomini risponde che hanno fretta e don Chisciotte, offeso, ferma il suo mulo e lo minaccia. L’animale, spaventato, alza le zampe, facendo cadere il padrone. Allora un altro uomo inizia a insultare il nobile, che si scaglia con la lancia contro uno di loro, ferendolo gravemente. Gli uomini iniziano a scappare ma i loro vestiti da lutto gli impediscono di correre e don Chisciotte li picchia. Sancio è stupito dell’audacia del suo padrone.

Poi il nobile si avvicina al primo caduto e, puntandogli la lancia in faccia, lo costringe ad arrendersi. L’uomo lo fa immediatamente e don Chisciotte gli pone le stesse domande di prima. Viene a sapere che è Alonso López, un uomo di chiesa, baccelliere, nativo di Alcobendas, che viene da Baeza con altri undici sacerdoti, che sono quelli fuggiti, e che sono tutti diretti a Segovia per accompagnare il corpo di un cavaliere. Il nobile gli domanda la causa della morte del cavaliere, e il baccelliere risponde che è stata causata dalla febbre.

Don Chisciotte si rende conto che non c’è nessuna morte da vendicare e si presenta al baccelliere dicendo che il suo compito è quello di andare in giro per il mondo a riparare i torti subiti. Il baccelliere gli dice che si è rotto una gamba e gli chiede aiuto per uscire da sotto la mula che gliela imprigiona. Don Chisciotte, a sua volta, chiede aiuto a Sancio, ma questi sta rubando tutto il cibo che gli ecclesiastici stanno trasportando. In seguito, lui e il nobile aiutano il baccelliere a salire sulla mula e don Chisciotte gli dice di andare con i suoi compagni e di chiedere perdono a nome suo.

Sancio aggiunge che l’hidalgo è il famoso don Chisciotte della Mancia e che è anche chiamato “Cavaliere dalla Triste Figura". Il baccelliere se ne va e don Chisciotte chiede al suo scudiero da dove ha preso questo nome. Sancio risponde che gli è venuto in mente quando ha visto la sua triste figura. Il nobile risponde che il nome gli è stato dato dal saggio che sarà incaricato di raccontare le sue imprese, poiché tutti i cavalieri hanno un appellativo e che da allora in poi lo avrebbe usato. Immagina anche di dipingere uno stemma con questa figura. Il baccelliere torna e dice a don Chisciotte che è deluso, ma lui risponde che non sapeva che fossero sacerdoti quando li ha attaccati. Il baccelliere se ne va senza dire altro.

Don Chisciotte vuole vedere cosa c’è nella bara portata dai chierici, ma Sancio gli consiglia di lasciare il luogo e di andare a mangiare. Don Chisciotte acconsente e arrivano in una valle. Mangiano abbondantemente ma non hanno nulla da bere. Sancio vede che il prato è pieno di vegetazione e dice quello che verrà raccontato nel prossimo capitolo.

Capitolo 20: Della mai vista e inaudita avventura che il valoroso don Chisciotte della Mancia pur terminò con men pericolo di qualunque altra che mai fosse condotta a termine da cavaliere famoso nel mondo

Sancio crede che nelle vicinanze ci sia un ruscello dove andare a dissetarsi e così avanzano a tentoni nel buio della notte. Cominciano a sentire il rumore dell'acqua e anche quello di colpi, che li terrorizzano, si rifugiano tra alcuni alberi alti e rimangono nell’oscurità e nella solitudine, senza sapere dove si trovano.

Don Chisciotte decide di partire per una nuova avventura e ricorda gli eroi dei suoi romanzi cavallereschi e l’Età dell’Oro, che vuole far rivivere. Ordina a Sancio di aspettarlo lì e, qualora non tornasse dopo tre giorni, di tornare al suo villaggio e di dire a Dulcinea che è morto per aver fatto cose che lo hanno reso degno di essere chiamato suo. Sancio inizia a piangere e cerca di persuaderlo a non partire o ad aspettare l’alba, che è molto vicina, come indica la posizione delle stelle. Ma don Chisciotte vede che non ci sono stelle in cielo e così Sancio ammette che è stata la paura a farlo parlare.

Il cavaliere si prepara per partire e gli chiede di aggiustare la cinghia di Ronzinante, ma Sancio lega la corda del suo asino ai piedi del cavallo, per impedirne la partenza. Don Chisciotte non può cavalcare e Sancio gli dice che è un segno del cielo. Il nobile la pensa come lui e allora Sancio si offre di raccontargli delle storie per far passare il resto della notte. Inizia il suo racconto ripetendo eccessivamente le informazioni e Don Chisciotte gli chiede di smettere di farlo, ma lo scudiero gli dice che nella sua terra le favole si raccontano così e il nobile lo lascia continuare.

La storia parla del pastore Lope Ruiz e della pastorella Torralba. Il primo è innamorato della pastorella ma lei lo rende così geloso che finisce per odiarla. Solo dopo che il pastore decide di partire, per non vederla, lei inizia ad amarlo e lo segue nella sua marcia verso i regni del Portogallo. Il pastore avanza con trecento capre fino a un fiume dove trova solo una piccola barca per attraversare, in cui entra solo una capra.

Sancio racconta di come il pastore ha fatto attraversare le capre una alla volta e dice a don Chisciotte di non perdere il conto, altrimenti la storia finirà. Il nobile gli dice di omettere quella parte della storia e Sancio gli chiede il numero delle capre ma lui non lo sa, così la storia finisce perché, con la distrazione, lo scudiero non ricorda il finale. Don Chisciotte è sconvolto dalla storia e dal modo in cui viene raccontata. Sancio vuole “soddisfare le sue necessità”, ma per paura lo fa senza allontanarsi dal padrone. Don Chisciotte sente i rumori e l’odore, e rimprovera Sancio per quello che ha fatto.

All’alba, Sancio slega le zampe di Ronzinante e don Chisciotte, vedendo che l’animale si muove, si prepara a partire, ma lo scudiero decide di accompagnarlo. Si dirigono verso il luogo da cui proviene il rumore e scoprono che è prodotto dai mazzuoli di una macchina per la follatura. Entrambi cominciano a ridere ma Sancio ride ancora di più quando il suo padrone ripete che è nato per far rivivere l’Età dell’Oro in quella del ferro. L’hidalgo si arrabbia, gli dà due colpi di lancia sulla schiena e gli dice che in nessun romanzo di cavalleria ha mai letto di uno scudiero che parla tanto quanto lui. Gli chiede quindi di cominciare a trattarlo con più rispetto e Sancio promette di non parlare se non per onorarlo.

Analisi

Don Chisciotte adatta la realtà alle sue aspettative, secondo quanto ha letto nei romanzi cavallereschi, in ogni occasione che gli si presenta. Per questo, quando vede della polvere sulla sua strada, non tarda nell'attribuirla alla marcia di due eserciti contrapposti.

Inoltre, ogni avventura che immagina gli viene presentata come un’opportunità per dimostrare il suo coraggio ed essere così immortalato in un romanzo cavalleresco. Così, dice a Sancio Panza: “questa, dico, è la giornata in cui si deve dimostrare, quanto in nessun'altro, il valore del mio braccio, e in cui debbo compire imprese che rimangano scritte nel libro della Fama per tutti i venturi secoli”.

Sancio Panza, invece, dopo diverse disgrazie, esprime il desiderio di tornare a casa, per continuare il suo abituale lavoro di contadino: “La meglio sarebbe e la più indovinata, secondo il mio poco giudizio, di tornarcene al nostro paese, ora che è il tempo della mietitura e di badare al nostri affari, smettendola d'andare vagando di qua e di là, dal pero al fico, come si dice”.

Tuttavia, Sancio Panza è un personaggio molto più complesso di quanto possa sembrare a prima vista. All’inizio del diciottesimo capitolo maledice il suo destino e si arrabbia per le follie dell’hidalgo per ben due volte e si prepara addirittura a lasciare il suo padrone: “In tutto questo tempo Sancio se ne stette sulla collinetta guardando le mattie che faceva il suo padrone; e si strappava la barba, maledicendo l'ora e il momento in cui la sorte glielo aveva fatto conoscere”; “imprecò di nuovo a se stesso e propose in cuor suo di abbandonare il padrone e ritornare al paese, anche dovesse perdere la paga dell'aver servito fin qui e le speranze di governare l'isola promessagli”. Tuttavia, nonostante la rabbia e l’inquietudine che prova per tante disgrazie, riesce a mostrare compassione quando vede il nobile scoraggiato alla fine dello stesso capitolo: “perché il dolore che don Chisciotte aveva nelle mascelle non gli dava requie né voglia di affrettarsi, Sancio intese divagarlo e sollevarlo dicendogli qualche cosa”.

D’altra parte, è interessante notare che quando Sancio avverte don Chisciotte che gli eserciti che vede sono in realtà greggi di pecore e montoni, il nobile attribuisce l’alterazione della percezione dell’amico alla paura: “«La paura che hai» disse don Chisciotte «fa che tu, o Sancio, non veda né oda dirittamente; giacché, uno degli effetti della paura è di confondere i sensi e far sì che le cose non appaiano quali sono»”. La realtà viene così presentata come suscettibile di diverse interpretazioni, a seconda dell’osservatore e del suo punto di vista. Mentre l’hidalgo vede eserciti che si scontrano nella polvere, Sancio vede greggi di pecore e montoni; mentre il primo sente “il nitrire dei corsieri, il suonar delle trombe, il rumore dei tamburi”, il secondo sente “un gran belare di pecore e di montoni”.

D’altra parte, don Chisciotte elenca i cavalieri che compongono i due eserciti immaginari, alla maniera di un catalogo, e descrive le loro armi e il disegno dei loro scudi. In questo imita il resoconto del romanzo cavalleresco Specchio di principi e cavalieri sugli eserciti impegnati nella guerra tra cristiani e pagani. L’enumerazione delle nazioni da cui provengono i combattenti ricorda il famoso catalogo delle navi nel secondo canto dell’Iliade. Lì si fa una vasta enumerazione dei capi militari achei, indicando la regione da cui provengono.

Anche don Chisciotte fa un’allusione biblica, quando promette al suo scudiero che Dio fornirà loro il cibo necessario. Sancio si rende conto di non avere nulla da mangiare e confida che l’hidalgo possa procurare loro le erbe che sono a portata di mano, come aveva suggerito (Capitolo 10). Allora l’hidalgo lo incoraggia dicendo:

“Ma, nondimeno, sali sul tuo giumento, il mio buon Sancio, e vieni dietro a me. Dio, che a tutto provvede, non ci verrà meno, e tanto più servendolo tanto quanto noi lo serviamo, dal momento che non viene meno né alle zanzare dell'aria né ai vermiciattoli della terra né ai bacherozzoli dell'acqua, ed è tanto misericordioso che fa sorgere il sole sui buoni e cui cattivi e fa piovere sopra gli ingiusti e i giusti.”

L’allusione proviene dal Vangelo di Matteo: “Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono nei granai, eppure il Padre che è nei cieli li nutre, Non valete voi più di loro?”; “così sarete figli del Padre che è nei cieli, perché fa sorgere il sole sui cattivi e sui buoni, e manda la pioggia sui giusti e sugli ingiusti”.

Per questo Sancio Panza risponde: “Vossignoria […] sarebbe stato miglior predicatore che cavaliere errante”.

Don Chisciotte introduce poi il tema delle armi e delle lettere, mostrando che le due professioni non si escludono a vicenda. Don Chisciotte dice al suo scudiero:

“«I cavalieri erranti, o Sancio, sapevan di tutto di tutto debbono sapere» disse don Chisciotte; «tanto che nei secoli passati ci fu chi, essendo cavaliere errante, si fermava a fare una predica o un discorso in mezzo a un accampamento, come se fosse addottorato dall'Università di Parigi. Dal che si arguisce che mai la lancia ebbe a spuntare la penna, né la penna la lancia».

Il cliché letterario delle armi e delle lettere viene ripreso nel trentottesimo capitolo, “Che tratta del singolare ragionamento che fece don Chisciotte circa le armi e le lettere”, dove vengono messi a confronto i due mestieri.

Nel diciannovesimo capitolo compare per la prima volta l’appellativo “Cavaliere dalla Triste Figura”, con il quale don Chisciotte della Mancia sarà, d’ora in poi, identificato. È curioso che sia Sancio a inventare l’appellativo, dato che il suo uso è tipico dei cavalieri erranti. Don Chisciotte, che conosce perfettamente questo uso, attribuisce l’invenzione a un uomo saggio “al quale spetterà di scrivere la storia delle mie imprese”, poiché “avrà creduto bene che io prenda qualche appellativo, come lo prendevano tutti i cavalieri di un tempo”. Poi fa un elenco di esempi tratti dai romanzi cavallereschi spagnoli: “quello dall'Ardente Spada, chi quel dall'Unicorno; l'uno, quel dalle Donzelle; l'altro, il Cavalier dal Grifo; quest'altro, quel dalla Morte, con i quali nomi ed insegne eran conosciuti per quanto la terra è rotonda”.

L’invenzione di Sancio, però, non si basa sull’imitazione dei romanzi cavallereschi, come si potrebbe supporre, visto che ne è completamente all’oscuro, ma sull’aspetto fisico del suo padrone: “perché sono stato a guardarla un pezzo alla luce di quella torcia che ha seco quello sventurato, e davvero vossignoria ha il più triste aspetto, da poco in qua, che io abbia mai veduto; e la causa dev'essere stata o lo sfinimento di questa battaglia, ovvero la mancanza dei molari e dei denti”.

In questo capitolo vengono usate due similitudini per paragonare lo stato di paura di Sancio Panza di fronte alla visione notturna delle luci che si avvicinano. Innanzitutto, si dice che “cominciò a tremare come se avesse il parletico”, cioè una persona che muore avvelenata con l’argento vivo o il mercurio. Poi, credendo che le luci provengano da un gruppo di soldati in giacca e cravatta, “cominciò a batter dente con dente, come chi ha il freddo della quartana”. Ciò significa che i suoi denti cominciarono a battere come quelli di chi soffre una malattia e rabbrividisce per la febbre o la quartana (una febbre periodica solitamente causata dalla malaria). Gli Incamiciati sono soldati che attaccano di notte indossando camicie bianche per distinguersi, al buio, dai nemici.

Don Chisciotte, invece, dimostra tanto coraggio e audacia da riuscire a conquistare l’ammirazione del suo scudiero: “Sancio stava a guardare ogni cosa, ammirato dall'audacia del suo signore, e diceva fra sé: «Senza dubbio, questo mio padrone è davvero valoroso e coraggioso come dice»”.

Gli Incamiciati alla fine si sono rivelati essere chierici, che indossano la cotta*. Per questo l’hidalgo e lo scudiero li hanno scambiati per Incamiciati.

Quando gli ecclesiastici se ne vanno, don Chisciotte vuole vedere cosa c’è nella bara, ma Sancio cerca di convincerlo ad andarsene usando un proverbio: “[…] come si dice, vada il morto in sepoltura ed il vivo all'osteria”. Una delle particolarità del modo di parlare di Sancio è l’uso frequente di proverbi per spiegare le sue idee. Anche il nobile ne fa uso e apprezza la saggezza che trasmettono, come dirà più avanti (Capitolo 21).

Nel ventesimo capitolo, la paura di Sancio gli fa vedere cose che non esistono, o almeno così afferma il personaggio, riprendendo le parole che don Chisciotte gli aveva detto poco prima, nel diciottesimo capitolo, quando lo aveva avvertito che la paura disturbava i sensi. Ora lo scudiero afferma che la posizione delle stelle indica l’avvicinarsi dell’alba e, quando don Chisciotte fa notare che non ci sono stelle in cielo, risponde dicendo che “però la paura ha molti occhi, e se vede le cose di sotterra, tanto più quelle di lassù, del cielo”. Con la personificazione della paura, si attribuisce a questo sentimento la capacità di vedere, ma in più si dice che ha “molti occhi”, il che significa che vede più di quello che esiste realmente.

Don Chisciotte gli chiede allora di stare tranquillo e si riferisce alla sua imminente avventura come “tanto non vista e tanto temibile”. Qui, l'espressione “non vista”, può essere interpretata in diversi sensi: da un lato, come “inedita”; dall’altro, come “invisibile”, poiché l’oscurità della notte impedisce ai personaggi di vedere intorno a loro; infine, come “temibile”, coerentemente con quanto appena sottolineato a proposito della paura, poiché, si dice che anche l’avventura è “paurosa”. Quest’ultima interpretazione è coerente anche con la fine del capitolo, che mostra come, tutto ciò che rendeva Sancio spaventato e don Chisciotte incerto, non fosse altro che il rumore di magli di una follatrice (una macchina ad acqua che batte i panni con dei magli per sgrassarli), per cui l’avventura immaginata è, di fatto, inesistente.

Inoltre, il procedimento narrativo con cui Sancio racconta la favola del pastore Lope Ruiz e della pastorella Torralba è tipico delle narrazioni orali. La concatenazione degli elementi, cioè la loro ripetizione all’inizio della frase successiva, ne facilita il ricordo:

“«Dico dunque» proseguì Sancio, «che in un paese dell'Estremadura c'era un pastore di capre, uno, cioè, che guardava le capre, il qual pastore o capraio, come dice la mia storia, aveva nome Lope Ruiz; e questo Lope Ruiz era innamorato d'una pastora che si chiamava Torralba; e questa pastora chiamata Torralba era figlia di un ricco allevatore di bestiami…».

Don Chisciotte critica il suo modo di narrare, perché in questo modo il racconto si allunga: “Se tu racconti così la tua novella, ripetendo due volte quel che vai dicendo, non ti basteranno due giorni”. Tuttavia, Sancio sa raccontare la storia in questo modo solo perché è così che l’ha imparata. Il suo approccio alla letteratura è sempre stato attraverso la narrazione orale, perché non sa né leggere né scrivere, come aveva dichiarato in precedenza (Capitolo 10). Ci troviamo quindi di fronte a due tipi di narrazione, orale e scritta, di cui la seconda è più lineare. Per questo l’hidalgo chiede: “dillo dopo”.

In questo capitolo, Sancio, inganna per la prima volta il suo padrone. Per paura di rimanere solo e dopo aver pianto e cercato di convincerlo a non partire, finisce per legare le zampe di Ronzinante e fa credere a don Chisciotte che un piano divino gli impedisca di andare via. Il cavaliere non tarda a crederci, perché l’inganno è in linea con le sue aspettative di realtà, create dai romanzi cavallereschi.

*Paramenti bianchi, indossati sopra la tonaca, da coloro che assistono alle cerimonie religiose [N.d.T.]