Don Chisciotte della Mancia (parte 1)

Don Chisciotte della Mancia (parte 1) Gli elementi letterari

Genere

Parodia, romanzo d’avventura.

Ambientazione e contesto

La Mancia, Spagna, d’estate. La data non è indicata, ma può essere collocata tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo.

Narratore e punto di vista

Fino al nono capitolo il narratore è anonimo. Il suo punto di vista inizia in prima persona (“non voglio ricordare”), ma poi diventa onnisciente. Infatti, dal nono capitolo in poi il narratore è Cide Hamete Benengeli e il punto di vista è onnisciente.

Tono

Il tono generale è comico.

Protagonista e antagonista

Il protagonista è don Chisciotte della Mancia, mentre l’antagonista è la sua follia. Quest’ultima è causata dalla lettura di romanzi cavallereschi, che gli impedisce di adattare il suo comportamento al mondo che lo circonda.

Conflitto maggiore

Don Chisciotte, reso folle dalla lettura di romanzi cavallereschi, cerca di ristabilire la cavalleria in un modo che non si adegua ai suoi codici.

Climax

Il climax del romanzo si svolge nella locanda di Juan Palomeque il Mancino, il luogo in cui si concludono tutte le storie che si intrecciano con l’azione principale, e si conclude la disputa sull'elmo di Mambrino.

Presagio

Anselmo, il personaggio della novella intercalata L’indagatore malaccorto, presagisce la propria morte dopo aver appreso le conseguenze della sua curiosità e delle sue azioni avventate: la moglie è fuggita con il suo migliore amico e lui è rimasto solo in disgrazia. Consapevole della sua situazione, decide di scrivere una lettera in cui si incolpa dell’accaduto e muore prima di averla terminata.

“Or come fu solo, il pensiero della sua sventura tanto cominciò a pesargli sul cuore che comprese chiaramente che la vita gli volgeva verso la fine. Deliberò quindi di lasciare scritto quale era stata la causa della sua strana morte. Cominciando a scrivere, avanti che finisse di metter giù tutto quello che era nel suo proposito, a un tratto gli mancò il respiro e lasciò la vita preda del dolore che gli aveva
causato la sua malaccorta smania indagatrice.”

Litote

“Bene, io sono sicuro della bontà e della sincerità del mio padrone; e così, poiché è a proposito di quel che si diceva, domando, parlando con ogni rispetto, se mai da che vossignoria è qui ingabbiato e, a suo credere, incantato in questa gabbia, domando, dico, se le è venuta voglia o desiderio di far qualcosa, la piccola o la grossa, come suol dirsi.”
“Bene: sappia che io voglio dire se le è venuta voglia di fare quello di cui non si può fare a meno.”

Sancio Panza usa questi due eufemismi, “far qualcosa, la piccola o la grossa” e “quello di cui non si può fare a meno”, per chiedere a don Chisciotte se ha avuto voglia di fare i suoi “bisogni”, poiché questo dimostrerebbe, secondo lui, che non è incantato come crede il nobile, ma è stato ingannato.

Allusioni

“«Proprio così, come dice vossignoria, signor canonico» disse il curato, «e per questo motivo son più degni di biasimo coloro che finora hanno composto simili libri senza badare a nessun buon procedimento né all'arte e alle regole secondo le quali si sarebbero potuti condurre sì da rendersi famosi nella prosa, come son famosi nel verso i due principi della poesia greca e latina.»”
Il canonico allude a Omero e Virgilio, i “principi della poesia greca e latina” per eccellenza. Nel suo dialogo con il canonico sui romanzi cavallereschi, dice che i più riprovevoli sono quelli che non hanno seguito le regole artistiche che li avrebbero resi famosi come i più grandi esponenti della poesia greca e latina.

Immaginario

Vedere la sezione “Immagini” di questa guida.

Paradosso

“Stava peggio Sancio sveglio che il suo padrone addormentato: tanto lo avevano sconcertato le promesse che questi gli aveva fatto.”
Sancio Panza, che è sveglio, paradossalmente fa e dice cose più sciocche del suo padrone che, dormendo, dà segni di follia. Sancio Panza sta cercando la testa del gigante che crede sia stato ucciso dal suo padrone e per la quale sarà presto ricompensato con un’isola, come gli aveva promesso. Con questo paradosso il narratore mostra come il personaggio si “chisciottizzi”, immergendosi nello stesso mondo fittizio del suo padrone.

Parallelismo

“Dalla morte io vo' la vita
Dai malanni sanità
In prigione libertà,
In un chiuso io vo' l'uscita,
Da sleali lealtà.”

Il parallelismo della poesia presentata dal narratore de L’indagatore malaccorto serve a rafforzare l’idea della ricerca di cose impossibili. Qui possiamo notare una somiglianza tra i costituenti sintattici di ogni verso. In ognuno di essi si contrappongono due idee antagoniste: morte/vita, malanni/sanità, prigione/libertà, chiuso/uscita, sleali/lealtà. Il narratore usa questa poesia per parlare dell’impossibilità della sfida di Anselmo, ovvero che sua moglie non stravolga la sua volontà, nonostante tutte le prove a cui lui sottopone la sua onestà.

Metonimia e sineddoche

“In Firenze, ricca e celebre città d'Italia, nella provincia che ha nome Toscana, dimoravano due ricchi e nobili cavalieri, Anselmo e Lotario, così grandi amici che quanti li conoscevano li chiamavano i due amici, per eccellenza ed antonomasia.”

“I due amici” è un’antonomasia, cioè un tipo di sineddoche che consiste nell’utilizzare il nome appellativo al posto del nome proprio o viceversa. In questo caso, l’espediente è usato per sottolineare l’incomparabile amicizia che univa i protagonisti della storia de L’indagatore malaccorto.

Personificazione

“«Gl'incantati non si fanno vedere da nessuno.»
«Se non si fanno vedere, si fanno sentire,» disse Sancio: «lo dicano un po' le mie spalle, se non è così. «Lo potrebbero dire anche le mie» rispose don Chisciotte.”
Personificazione della schiena di Sancio Panza e di don Chisciotte. Entrambi i personaggi sono gravemente feriti e il nobile crede sia stato un incantatore. Vedendo un uomo entrare nella stanza, Sancio teme che si tratti dell’incantatore, ma don Chisciotte lo rassicura che gli incantatori non sono visibili. Sancio, allora, afferma che si possono sentire, usando questa personificazione che allude alle ferite sulla schiena, come prova di ciò. Don Chisciotte, altrettanto addolorato, usa la stessa personificazione per dimostrare di essere d’accordo con l’opinione del suo scudiero.

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