Il romanzo inizia in medias res, immettendo senza alcun introduzione o premessa il lettore all’interno della quotidianità dei coniugi Moscarda del piccolo paesino siciliano di Richieri: il marito Vitangelo (soprannominato Gengè dalla moglie), è intento a specchiarsi quando, all’improvviso, la moglie Dida gli fa notare come il suo naso penda verso destra. La presenza immediata dello specchio, oggetto centrale all’interno dell’opera pirandelliana in quanto rivelatore del doppio, permette una prima lettura degli elementi narrativi in grado di far assaporare al fruitore l’imminente frantumazione dell’io a cui andrà incontro il protagonista, sottoposto inoltre a una simultanea analisi scaturita degli occhi della donna, volti a guardarlo e intenti a generare la forma nella quale lei lo ha personalmente intrappolato, ovvero quella del suo dolce e sciocco Gengè. L’intervento di Dida, apparentemente insignificante, pone infatti il narratore e protagonista dinanzi una crisi esistenziale mai affrontata prima e, percependo le parole della donna come “un immeritato castigo”, si volge nei suoi confronti risentito, quasi adirato, certo di non aver fatto nulla per meritare la sua malevolenza. Dida, non accortasi della paura nata nell’uomo di perdere per sempre l’immagine che lui coltiva di sé, sottolinea altre particolarità fisiche che egli aveva fino a quel momento ignorato: le sue sopracciglia, che parevano accenti circonflessi (graficamente rappresentati nel romanzo mediante utilizzo dei simboli ^^); il suo orecchio, più sporgente dell’altro; il suo mignolo, assolutamente atipico; la sua gamba destra, più arcuata della sinistra. È dunque possibile intravedere la presenza dei contrari umoristici pirandelliani dal momento che alla tragedia si affianca il comico, individuato dal riso sul volto della moglie. Presa coscienza di questi difetti, Vitangelo trascorre diverse ore a pensare a come avesse fatto, fino a quel momento, a credere di conoscere il suo vero aspetto, avviando il processo di disgregazione dell’io che giungerà al termine solo nella conclusione della vicenda. Per quanto egli sia a conoscenza di quanto naturale e frequente sia rinvenire in se stessi e negli altri piccoli difetti fisici, non accetta la rivelazione dei propri, avendoli fino a quel momento ignorati: il “primo germe del male aveva cominciato a metter radice” nel suo spirito e nessun atteggiamento refrattario lo avrebbe aiutato a combatterlo.
In una prima fase di negazione, Vitangelo cerca qualcuno che semplicemente smentisca ciò che sua moglie gli aveva rivelato, chiedendo dunque a un suo amico delucidazioni in merito all’aspetto del suo naso ma questi, quasi deridendolo, conferma le sue particolarità fisiche, lasciandolo preda di pensieri paranoici che lo attanagliano sempre più a fondo: aveva sempre creduto di essere “Moscarda col naso dritto” mentre in verità tutti lo conoscevano come “Moscarda col naso storto”. Per vendicarsi del suo amico, gli fa notare le fossette del suo mento e, entrati in un barbiere, l’amico scorge allo specchio il difetto che Vitangelo gli ha fatto notare e, affermando si tratti di una piccolezza, conceda il protagonista specchiandosi tuttavia in ogni vetrina che lungo la via incrocia. Per riscattarsi a sua volta del torto subito, questi pone attenzione sulle particolarità fisiche dei suoi conoscenti, dando vita a una malsana reazione a catena che porta tanti uomini e tante donne a specchiarsi in qualsiasi specchio trovassero a Richieri nei giorni immediatamente successivi tanto che, una settimana dopo, uno sconosciuto ferma Vitangelo per chiedergli se fosse vero che, parlando, contraeva inavvertitamente la palpebra dell’occhio sinistro. Egli conferma e prima che l’altro possa aggiungere altro in merito al suo aspetto, elenca tutti i suoi difetti da poco rinvenuti, lasciandolo lì. L’uomo tuttavia lo raggiunge, facendogli notare come egli abbia un “codiniccio” (ovvero, i suoi capelli terminano sulla nuca verso il basso) e che in base a questo la madre avrebbe dovuto avere ancora figli maschi, se mai ne avesse partorito altri dopo di lui. Lasciando Vitangelo allibito dalla recente scoperta, lo sconosciuto si allontana con un sogghignetto frigido. A questo punto cresce in Gengè la voglia di solitudine, in un modo assolutamente nuovo, con il bisogno di liberarsi di tutte le sovrastrutture per vedersi allo specchio come un estraneo: rimasto solo in casa, mentre sua moglie Dida è in visita da un’amica, la signora Anna Rosa, comprende presto come il suo sia un desiderio irrealizzabile poiché, nel momento in cui si pone dinanzi al suo riflesso, questo perde la sua naturalezza, portandolo a vedere un qualcosa di completamente diverso rispetto a ciò che scorgono gli altri. La condanna è tra le più crudeli: egli non sarà mai in grado di vedersi vivere e non potrà mai conoscere la maschera con cui gli altri si relazionano, costretto a convivere con un altro da sé che gli resterà per sempre estraneo.