L’intera narrazione è condotta dal suo protagonista in forma retrospettiva: Vitangelo Moscarda, un giovane benestante che vive nel paesino siciliano di Richieri, rivela al lettore come nessun uomo sia in grado di definire da sé la sua identità e, per mostrare come egli sia giunto a tale conclusione, decide di raccontare la sua vita dal momento in cui sua moglie pone l’attenzione su un dettaglio apparentemente insignificante. Difatti Gengè — com’è solita chiamarlo lei, “il caro Gengè”, con un infantile soprannome che lui detesta — ha il naso leggermente storto. Da questo momento in poi Vitangelo comprende come egli non sia “uno” ma “centomila”: ci sono tante proiezioni diverse del suo io, che fino a quel momento aveva ignorato, e decide dunque di intraprendere un’inconcludente ribellione contro tutte le diverse identità che gli altri gli hanno da sempre attribuito. Molti ad esempio lo credono il figlio fannullone di un banchiere usuraio e, per sovvertire questa maschera che la società gli ha sovrapposto, irrompe negli uffici della banca e, contro il volere dell’amministratore Quantorzo (colui che, dopo la morte del padre, ne gestiva gli affari assieme al collaboratore Firbo), s’impossessa dei documenti relativi allo sfratto di un tale Marco di Dio che Quantorzo avrebbe dovuto eseguire. Questo episodio rappresenta un’aggressione alla figura paterna che Vitangelo compie a posteriori, decidendo presto di sperperare l’intera eredità del padre, donando prima un appartamento all’incredulo Marco e successivamente devolvendo il restante patrimonio in beneficenza. Nel tentativo di portare a termine il suo atto parricida, chiede aiuto ad un’amica della moglie, la venticinquenne Anna Rosa, ma la donna, spaventata dai suoi ragionamenti e dal fatto che l’uomo abbia cercato di baciarla, lo ferisce con un colpo di pistola. In tribunale Vitangelo arriva con le vesti da mendicante, le stesse che indossano i bisognosi accolti nell’ospizio che lui stesso ha fatto costruire, e scagiona completamente la donna, additando l’intero accaduto come uno spiacevole episodio voluto dal caso. Adesso Vitangelo può finalmente annullare se stesso, diventare “nessuno”, identificandosi nel fluire irragionevole della vita, allontanandosi da tutte le centomila maschere attribuitegli. La fine del romanzo è dunque positiva: la rivalutazione della natura quale porta d’accesso ad una dimensione altra, armonica e serena rispetto a quella proposta dalla macchina nella società moderna, segna una svolta nell’arte pirandelliana, presentando un’inaspettata conclusione del racconto che, sebbene non coincida con la struttura narrativa, lasciata aperta dall’autore quale riflesso dell’intera vita, incapace di concludersi, consente al lettore di tratteggiare un epilogo circa l’episodio del narratore.