Pubblicato a puntate sulla rivista “La Fiera letteraria” dal 13 dicembre 1925 al 13 giugno 1926 e comparso in volume nello stesso 1926 presso l’editore Bemporad, il romanzo Uno, nessuno e centomila è fra gli scritti di Pirandello già nel 1909, tanto da farne riferimento in una lettera indirizzata all’amico e scrittore Massimo Bontempelli del 26 giugno 1910. Tra le prime abbozzate stesure del romanzo e la sua effettiva pubblicazione, vi è un proficuo periodo di circa quindici anni nel quale Pirandello dà avvio alla sua straordinaria carriera teatrale, costellata di successi quali Così è (se vi pare) (1917) e Sei personaggi in cerca d’autore (1921), e alla sistematica raccolta della sua produzione novellistica, scaturigine dell’imponente opera Novelle per un anno. Una breve sezione del romanzo, intitolata Considerazioni di Vitangelo Moscarda, generali sulla vita degli uomini e particolari sulla propria, in otto libri appare sulla rivista romana “Sapientia” sin dal 1915, anticipata da una prefazione di Stefano Landi, pseudonimo utilizzato dal figlio primogenito di Pirandello, nella quale rivolgendosi al padre definisce il testo come “[...] la storia della tua vittoriosa tragedia di un uomo-fanciullo”. Dalle parole del figlio è possibile comprendere perché l’autore, nonostante la freddezza con cui l’opera fu stata accolta dalla critica italiana, ancora indifesa e disorientata dinanzi la crisi narrativa denunciata sin dal titolo, intenta a mostrare la parcellizzazione dell’eroe demiurgo, lo avesse definito un testamento della sua poetica, con rimandi autobiografici che si presentavano a più riprese nella vicenda. Il romanzo, riscoperto e apprezzato dopo quasi trent’anni dalla sua uscita in rivista, è definito dal suo autore come “profondamente umoristico, di scomposizione della vita*”. Suddiviso in otto libri — a loro volta strutturati in sessantatré capitoli brevi con dei titoletti, spesso costituiti da frasi interrogativa o esclamativa, la cui forma infrange le convenzioni letterarie — il testo presenta gli ideali e la visione della vita proprie di Pirandello, in una volontà quasi testamentaria legata alla sua ultima opera romanzesca. Il suo obiettivo, come da egli stesso dichiarato durante un’intervista apparsa sul quotidiano “L’Epoca” nel luglio del 1922, non è apparire come “[...] un diavolo distruttore, che toglie la terra di sotto ai piedi della gente” ma contrariamente dimostrare come la pluralità di punti di vista generi un prisma mediante il quale la lettura unitaria della realtà risulta impossibile e genera una destabilizzazione percettiva e identitaria nell’uomo, lasciandolo privo di qualsiasi possibile certezza. Nella prima parte del romanzo il lettore conosce le riflessioni e i pensieri ossessivi del protagonista che, mediante la forma del soliloquio e con un linguaggio vicino al parlato, lo accompagnano in un susseguirsi di nuove scoperte e paure che scandiscono il suo procedere dopo l’evento rivelatorio l’esistenza di più identità attribuite ad uno stesso uomo, incapace di controllare le “centomila” proiezioni che gli altri gli conferiscono. Lo scorrere dei pensieri di Vitangelo rallenta la fabula, dando luogo ad un intreccio statico che delinea i monologhi nei quali è solito perdersi il narratore nella prima parte dell’opera, grazie ad uno stile frammentato dalle numerose esclamazioni** e domande retoriche che sollecitano in maniera incessante la partecipazione attiva del fruitore. Contrariamente, la seconda parte è caratterizzata da svariati eventi che muovono il protagonista e i personaggi secondari: dall’acquisizione e completa disposizione del patrimonio paterno da parte di Vitangelo, alla ricerca di condanna per interdizione da parte dei suoi familiari, fino al suo ritiro dal mondo quando, abbandonate le “centomila” maschere associategli, decide di diventare “nessuno” e di lasciarsi vivere al di fuori del fluire inarrestabile della società.
*Pirandello anticipa la pubblicazione del suo nuovo e ultimo romanzo all’interno della breve Lettera autobiografica, scritta fra il 1912 e il 1913 e apparsa sul periodico romano “Le lettere” il 15 ottobre del 1924.
**All’interno del romanzo si contano più di cinquecento punti esclamativi utilizzati.