L’importanza di chiamarsi Ernesto di Oscar Wilde fu rappresentato per la prima volta presso il St. James’s Theatre di Londra il 14 febbraio del 1895, solo un mese dopo il precedente successo dell’autore Un marito ideale. Il teatro era gremito di gente che rideva spensierata di fronte alle caricature presentate sul palco. Considerata una delle migliori opere teatrali di Wilde, molti definiscono L’importanza di chiamarsi Ernesto come la commedia migliore di tutti i tempi.
Parte del successo dell’opera viene dall’apparente e infinita fornitura di epigrammi irriverenti di Wilde. Sebbene alcune frasi concise e spesso paradossali facciano riferimento a eventi contemporanei (come la condizione del dramma francese del Diciannovesimo secolo), la maggior parte di esse sono universali riflessioni sulla bellezza, sull’arte, sull’uomo, sulla donna e sulla società. Sono formule citabili all’infinito e continuano a deliziare il pubblico con il loro miscuglio di sofisticatezza e assurdità.
Una caratteristica degli epigrammi che assicura la loro durevolezza è che possono essere separati dalla narrazione dell’opera. Gli epigrammi hanno poco effetto sulla storia perché racchiudono molti dei pensieri di Wilde sul funzionamento dell’arte: in particolare, l’arte dovrebbe essere bella e non avere alcuna utilità. L’epigramma è l’epitome di questo ideale: bello nella sua costruzione elegante, inutile ai fini dell’opera.
Oltre a riflettere sulla bellezza, l’opera è anche una magistrale parodia delle maniere vittoriane, soprattutto per quanto riguarda il matrimonio e la moralità. Il primo era da tempo una questione fondamentale nella letteratura inglese e Wilde ne ha esposto il suo uso manipolativo ai fini dell’avanzamento sociale: con l’eccezione di Miss Prism, tutte le donne dell’opera hanno un secondo fine quando si tratta di relazioni sentimentali. Quanto alla moralità, Wilde criticava la facciata puritana dell’educazione, indossata dagli aristocratici vittoriani, che notava all’interno della società, parlandone come della “maschera superficiale della buona creanza”, per usare le parole di Cecily.
Una delle principali fonti di umorismo nell’opera è il senso dei valori dei personaggi, all’apparenza confuso. Wilde definisce la commedia come “squisitamente banale, una delicata bolla di lusso” e secondo la sua filosofia tutti dovrebbero trattare gli aspetti banali della vita con serietà e quelli seri con sincera e studiata banalità. Wilde richiedeva agli attori di recitare con una serietà mortale, senza far intendere al pubblico che si trattava di una battuta. Sebbene sia una commedia di costume, l’opera sfrutta anche tecniche apertamente farsesche per minimizzare la sua serietà; il pubblico è disposto a perdonare l’irresponsabilità e l’indiscrezione dei personaggi.
All’interno della cornice di false identità, Wilde dissemina possibili allusioni all’omosessualità dei personaggi maschili. Mentre scriveva L’importanza di chiamarsi Ernesto, Wilde conduceva una doppia vita da uomo sposato e da omosessuale attivo. Si dice che il pubblico iniziale dell’opera avesse gridato ai riferimenti velati alla sottocultura omosessuale di Londra. Tuttavia, il grande successo della commedia si dimostrò già dalla serata di apertura. Sebbene gli fosse stato impedito l’ingresso, il famigerato processo di Wilde iniziò poco dopo e la sua vita e carriera cominciarono a sgretolarsi.