La bellezza di Eugenia
Nebbia non è un romanzo ricco di immagini sensoriali, motivo per cui quelle dedicate all’impatto della bellezza di Eugenia su Augusto sono di particolare importanza in quanto presentano una delle poche situazioni in cui il narratore offre descrizioni dettagliate. In questo modo, diventa evidente nella narrazione l’enorme impatto che la presenza di Eugenia ha su Augusto e il lettore capisce lo stato di innamoramento in cui si trova il personaggio.
Nel Capitolo II, per esempio, Augusto scrive una lettera a Eugenia e in essa ricrea la prima immagine del loro incontro quando si sono brevemente incrociati per strada:
“Signorina,
questa mattina, sotto la dolce pioggerella del cielo, lei è passata, apparizione fortuita, dinanzi alla porta della casa dove vivo, ma dove non ho un focolare. Quando rinvenni, sono andato alla porta di casa sua, dove ignoro se lei abbia o non abbia un focolare. Mi hanno portato là i suoi occhi, i suoi occhi che sono due stelle fulgenti nella nebulosa del mio mondo.”
Nel Capitolo VIII Augusto incontra di nuovo Eugenia e il narratore afferma:
“Si udì un rumore come quello della colomba che si lancia nel volo; un «Ah» breve e secco, e gli occhi d’Eugenia, in un viso roseo, vivace e su un corpo che pareva non pesare sul suolo, diedero una nuova e misteriosa luce spirituale alla scena, e Augusto si sentì tranquillo [...] assorto nella misteriosa luce spirituale irradiata da quegli occhi. E soltanto quando udì che la signora Ermelinda incominciava a dire a sua nipote: «C’è il nostro amico, il signor Augusto Pérez…» tornò in sé e si alzò in piedi, cercando di sorridere.”
Subito dopo, quando l’uomo dà la mano a Eugenia, si precisa: “Una mano bianca e fredda, bianca come la neve e come la neve fredda, toccò la sua mano. E augusto sentì che attraverso tutto l’essere suo scorreva un fluido di serenità”.
La casa dell’infanzia
Nel Capitolo V, Augusto passeggia per l’Alameda con le sue emozioni travolte da Eugenia. Poco dopo inizia a pensare con nostalgia alla sua infanzia attraverso immagini che descrivono la casa in cui abitava da bambino:
“Era una casa dolce e tiepida. La luce entrava attraverso i bianchi fiori ricamati delle tendine. Le poltrone offrivano, con l’intimità di uomini tornati bambini, le loro braccia. Là era rimasto il portacenere con la cenere dell’ultimo sigaro che aveva fumato suo padre. E là, sulla parete, il ritratto di entrambi, del padre e della madre, fatto il giorno stesso del matrimonio. Lui che era alto, stava seduto con le gambe accavallate che lasciavano vedere la linguetta delle scarpe, e lei, che era piccola, in piedi, al suo fianco, mentre appoggiava la mano, una mano delicata, fatta non per stringere, ma per posarsi come una colomba, sulla spalla del marito.
Sua madre andava e veniva senza far rumore, come un passerotto sempre vestita di nero, con un sorriso su cui erano state deposte le lacrime dei suoi primi giorni di vedovanza. Un sorriso che aleggiava intorno alla sua bocca e agli occhi scrutatori. «Devo vivere per te, per te solo, Augusto» gli diceva alla sera prima di coricarsi. E lo accompagnava nei suoi sogni notturni il bacio materno ancor umido di lacrime.”
Nel Capitolo XIII viene nuovamente descritta la casa dell’infanzia ma come scenario di un sogno:
“Chiuse gli occhi e risognò quella casa dolce e tiepida in cui la luce entrava attraverso i bianchi fiori ricamati delle tendine. Rivide sua madre che andava e veniva senza far rumore, sempre vestita di nero, con quel suo sorriso in cui stagnavano le lacrime. E ritornò col pensiero a quella sua vita di figlio quando faceva parte di sua madre e viveva sotto la sua protezione, e ricordò la morte lenta, grave, dolce e indolore della povera signora, quando se ne andò come un uccellino migratore, che spicchi silenziosamente il volo.”
La morte della madre
Avvalendosi di immagini visive e tattili, il narratore descrive la morte della madre di Augusto attraverso una scena che suggerisce un ambiente silenzioso, intimo, nostalgico:
“E venne la morte; quella morte lenta, grave e dolce, indolore, che entrò in punta di piedi e senza far rumore come un uccello migratore, e se la portò via con lento volo, in una sera d’autunno. Morì stringendo nella mano quella del figlio, con gli occhi negli occhi di lui. Augusto sentì che la mano si raffreddava, che gli occhi s’immobilizzavano. Lasciò la mano dopo aver deposto sul suo gelo un bacio caldo, e le chiuse gli occhi. S’inginocchiò accanto al letto e rivide la storia di quegli anni sempre uguali.”
Va inoltre sottolineato il modo in cui viene trattata la morte, che appare personificata come un’entità che partecipa all’intimità familiare.
La piazza
Nel Capitolo XIX, a seguito di un’intensa discussione con Eugenia, Augusto va in piazza. Il narratore descrive questo luogo con abbondanti dettagli dal punto di vista malinconico di Augusto:
“Così giunse a quel raccolto giardinetto che si trova nella solitaria piazza dell’appartato rione in cui viveva. La piazza è un’isola di pace dove giocano sempre i bambini perché là non circolano i tram e solo raramente passa qualche vecchia automobile; vi sono anche alcuni vecchi che vanno a prendere il sole nei dolci pomeriggi di autunno quando le foglie dei castagni, che lì vivono prigionieri dopo aver vibrato al vento dei monti, vanno a posarsi sul selciato o coprono i sedili delle panchine di legno sempre dipinti di verde, il colore della foglia fresca.”
L’immagine prosegue, ma attraversata dall’empatia che evoca in Augusto la natura controllata dalle persone:
“Quegli alberi domestici, cittadini, posti in rigida formazione, che erano innaffiati a ore fisse, quando non pioveva, e che stendevano le loro radici sotto il selciato della piazza; quegli alberi prigionieri che attendevano il sorgere e il tramontare del sole dietro i tetti delle case; quegli alberi chiusi in gabbia che forse ignoravano la remota selva, lo attraevano misteriosamente. Nelle loro fronde cantavano alcuni passeri cittadini, di quelli che imparano a fuggire i bambini e ad avvicinarsi ai vecchi che gettano loro le briciole.”
Infine, la descrizione della piazza si mescola con la sensazione di solitudine di Augusto:
“Quante volte seduto solo e in solitudine su una delle panchine verdi di quella piazzetta, vide l’incendio del tramonto dietro un tetto mentre contro l’oro acceso delle nuvole splendenti si delineava il contorno di un gatto nero sul camino di una casa! E in autunno piovevano le foglie, gialle, foglie ampie come quelle della vite, simili a mani mummificate, laminate, sulle aiuole del centro e dei muretti, sui cespugli. E i bambini giocavano fra le foglie secche, forse giocavano a raccoglierle, ignari dell’incendio del tramonto.”